martedì 31 agosto 2010

Il pecorino che sa di pecora


Quando si decide di portare in tavola un formaggio pecorino, la critica più frequente che si sente sollevare è "per me sa troppo di pecora".
"Ci mancherebbe" rispondo di solito io, di cosa volete che sappia?
Non è mozzarella, non è robiola e nemmeno Philadelphia, si chiama pecorino e quello che mi aspetto da questa meraviglia è che sappia di pecora, o per meglio dire, di latte di pecora.
Se vi venisse la voglia di assaggiarne uno, dei molti, che sanno ancora di pecora, potete rivolgervi all'Azienda Agricola "S.Agata" di Principina Terra(5 km fuori Grosseto): dimenticatevi intanto i pecorini di Pienza stereotipati e anche i maremmani cooperativi da decine di migliaia di forme, qui la lavorazione è ancora artigianale, non troverete due forme uguali, e si utilizza il latte proveniente da questi pascoli a metà tra la pineta e la città, solcati solo da saltuari sterrati perpendicolari.
Oltre a ricotta e ravaggiolo, che non ho potuto assaggiare non essendo adesso la loro stagione, le tipologie di formaggio sono tre a seconda della stagionatura.
Il più fresco è anche il più semplice da approcciare, perfetto con le fave e il pane fresco, ha un gusto vivace e invita ad affettarne di nuovo, perfetto per una merenda all'aperto.
Il semistagionato invece presenta un gusto più deciso e una maggiore sapidità, che lo rendono più adatto all'abbinamento con la frutta(pere, mele, uva, ma divertitevi tranquillamente a sperimentare), conclusione perfetta di un pasto non troppo pesante.
Ultimo prodotto è lo stagionato, che all'occhio si presenta molto diverso dai due precedenti: la crosta si fa marroncina e anche l'interno propone un'alveolatura fine, ma ben presente, segno evidente della maturazione del formaggio. Il gusto in questo caso è deciso, la varietà delle sensazioni più complessa e si ha la netta percezioni della vitalità del prodotto, del suo continuo divenire: potrà tranquillamente sostenere le chiacchiere con un vecchio amico, affiancato da un vino da meditazione sia esso rosso(un Brunello d'annata) o anche dolce(magari germanico); sarà, allo stesso modo, anche un'ottima compagnia ad una rilassata serata solitaria.
I prodotti sono reperibili presso l'Azienda "S.Agata" o presso il mercato "Campagna Amica" ogni sabato mattina, prezzi dai 12 ai 18 Euro/Kg a seconda della stagionatura.

lunedì 30 agosto 2010

L'altra via della seta.



Premetto che, per Ampeleia così come per le altre aziende citate, non percepisco alcun compenso e i prodotti che recensisco li acquisto personalmente(pagandoli, naturalmente).
La precisazione semprerebbe superflua(vista la mia autorevolezza e il mio prestigio), ma l'ho voluta fare perchè accingendomi a pubblicare il il secondo post(qui il primo) su "Ampeleia" in meno di 20 giorni, il dubbio era legittimo.

Torniamo quindi a Roccatederighi, virtualmente, per assaggiare l'annata 2004 del vino di punta dell'azienda omonima(dopo il 2003): le novità risultano notevoli a iniziare dalla scomparsa del Merlot(30%) che cede il posto a 5 vitigni mediterranei, piuttosto inusuali in questa zona(Alicante, Carignano, Grenache, Mourvedre, Marselan).
Lo schema di base (50% Cabernet Franc, 20% Sangiovese) è costante e si riconosce anche in questa nuova annata una certa continuità con la precedente, in particolare per quanto riguarda la spiccata sapidità, dovuta alla composizione dei terreni e alla vicinanza al mare, e le percezioni di macchia mediterranea particolarmente presenti(rovo, mirto, ginepro).
Rispetto al 2003 sembra passare in secondo piano l'apporto del Sangiovese(le note di sottobosco e humus sono meno evidenti), mentre si avvertono profumi maturi di tabacco e cioccolato.
I frutti scuri in bocca sono ben evidenti e donano piacevolezza, il tannino è particolarmente fine e svolge appieno il suo compito, senza mai essere invadente.

Un prodotto senza dubbio che spicca per piacevolezza e personalità, anche se a questo punto mi incuriosisce ancora di più l'assaggio del Kepos(secondo vino dell'Azienda) che propone, in solitaria, i cinque vitigni sopra elencati, senza la rete del legno piccolo: una bella sfida su cui vi riferirò  a breve.

domenica 29 agosto 2010

Fast food




La Pizzeria Napoletana di Castiglione della Pescaia, in posizione invidiabile all'inizio del lungomare, si vanta di essere la più antica pizzeria della città e di mantenere inalterata la gestione dal 1983.
Tutto vero naturalmente, anche se omettono di dire che anche il menù è fermo a quella data.
Non è una critica, ci mancherebbe, solo una constatazione.
Arriviamo alle 20.00, orario critico, e ci attende una piccola folla di persone, 20 più o meno, che attendono pazienti il loro turno(il ristorante nona ccetta prenotazioni), decidiamo di attendere, rincuorati anche dal fatto che il ristorante confinante ha dovuto instaurare la figura del "buttadentro" e, nonostante questo, soccombe.
La nostra attesa è piuttosto breve, aiutata dalla presenza numerosa di avventori nordeuropei abituati a cenare con le galline, e prendiamo posto in un tavolino "vista spiaggia", molto romantico: il servizio è molto celere e pragmatico, tanto che dopo pochi minuti abbiamo la tavola apparecchiata, le bevande e i menù.
Il menù , appunto , sembra fermo a diversi anni fa: gli antipasti sono i soliti(insalata di mare, polpo e patate, insalata di seppie), mentre tra i primi solo le tagliatelle con le aragostelle ci incuriosiscono.
Per quanto riguarda i secondi il menù, onestamente, discerne tra pesce fresco(frittura di paranza, pesce al forno con le patate etc) e pesce surgelato(fritti vari, gallinella, pescespada etc) con prezzi mai esosi, oltre alla classica pizza che sembra essere la specialità della casa.
Optiamo per due crostoni di mare(con un sughetto saporito di moscardini e seppioline), una frittura mista(quello che ci si poteva aspettare da una materia surgelata industrialmente) e un calzone(ben condito anche se poco cotto).
In totale fanno 47,50 euro(incluso coperto, acqua, una birra e una patata fritta) in poco meno di 40 minuti(pregio o difetto decidete voi).
Non mi meraviglia certo il successo di questo locale, che offre anche cucina di terra, in ottima posizione e con un servizio da Olimpiadi, ma sulla qualità molti dubbi.
Da consigliare a chi, trovandosi in zona per vacanza, trova lo stare a tavola una noiosa necessità o ha nostalgia della coda alle Poste.
Per gli altri, a 100 metri, direzione centro, c'è la pizzeria al taglio "Il Faro", l'attesa è più breve, la sistemazione è lasciata alla fantasia, ma la pizza è eccezionale e si spende una sciocchezza(chiude alle 22).

venerdì 27 agosto 2010

Il pesce ai tempi della crisi.



Se è vero che il prezzo del pesce è in costante aumento, al ristorante così come al mercato, esiste una terza via a questo pregiato alimento che salvi il nostro palato e le nostre tasche: il pesce azzurro.
La promozione di questo tipo di pesce è particolarmente attiva ormai da un decennio, ma il Popolo delle orate e delle spigole sembra piuttosto riottoso ai cambiamenti e preferisce ancora pagare anche 20 euro/kg per una di queste specie allevata in vasche sovraffollate a Orbetello o a Follonica, piuttosto che acquistare sarde, sgombri, sugherelli e aguglie pescate in mare.

Io, che mi tengo alla larga dai Popoli vari, acquisto spesso questo tipo di pesce(al supermercato CONAD di via Clodia viaggia tra i 4 e 5 euro/kg) e ieri ho preparato un ottimo sgombro al forno prendendo spunto da una scatoletta che mi ha portato mia sorella dal Portogallo(ottime conserve a marchio Tricana acquistate presso la" Conserveria de Lisboa" cui si riferisce anche l'immagine).

La porzione singola è costituita da 300 grammi di sgombro fresco e una cipolla(dorata, anche se si ottengono ottimi risultati con la rossa di Tropea) anche se il mio consiglio è di abbondare visto che avrà successo e che, semmai, il giorno successivo sarà ancora più buono: si prepara una teglia con carta da forno, precedentemente bagnata, e si adagiano le cipolle affettate non troppo sottilmente, salandole con prudenza. Successivamente si adagiano gli sgombri, si condisce con sale e olio(non esagerate lo sgombro non è un pesce magro) e si inforna a 180° per 20/25 minuti in caso di esemplari piccoli(300/400 grammi) o più a lungo in caso di esemplari più carnosi.
A questo punto basterà sporzionare lo sgombro(pesce tra l'altro semplice da sfilettare) con le cipolle e bagnare con il sughetto che si sarà formato sulla teglia(raccomandata la scarpetta con pane toscano).

Per l'abbinamento, sono consigliabili sia un rosato che un rosso giovane, purchè dotati di una buona acidità.

giovedì 26 agosto 2010

Vade retro vetro



Uno degli argomenti "caldi" di questi ultimi tempi nell'ambiente del vino è quello dei tappi, ovvero se esista o meno un'alternativa reale al tappo in sughero, uno dei must del vino di qualità.
Precisiamo subito che io parteggio per il tappo di sughero per motivi di tradizione e soprattutto perchè è l'unico su cui si possa scrivere(conservo quelli delle occasioni importanti con scritto la data e una breve nota).
Al di là dei sentimentalismi, ho però voluto provare queste alternative iniziando da quello che, secondo me impropriamente, viene definito tappo di vetro: impropriamente perchè a mio parere si tratta in realtà di un tappo di plastica(la definisco così da profano, avrà certamente un nome specifico) ricoperto di vetro, vetro che quindi non influisce assolutamente sulla conservazione del liquido e ha una funzione fondamentalmente estetica.
Ho stappato quindi una bottiglia di Alcamo di Cusumano, annata 2009, gentilmente fornitami da un amico grossista, e ho potuto notare come la fase di apertura sia piuttosto agevole e non necessiti, importante, di alcuno strumento, se non le mani.
All'osservazione e al gusto il vino non presenta alcuna differenza significativa con prodotti equivalenti con il tappo di sughero e quindi posso affermare, per la mia breve esperienza che su un vino di pronta beva il tappo è da considerare sicuramente adatto.
Un dubbio però è emerso quando, la sera, ho preso la bottiglia dal frigo per offrire un aperitivo ai vicini di casa: l'estrazione del tappo, come già la prima volta, ha necessitato di una discreta forza e al momento dell'apertura il tappo, proprio per la pessima presa determinata dal vetro, è scivolato dalle mie dita sfracellandosi sul pavimento: sarà certo colpa delle mie manone e della mia forza, ma in questa fase il tappo mi è sembrato poco pratico e un po' pericoloso(Lorenzo, 15 mesi, è sempre nei paraggi).
Riassumendo nulla da dire sul tappo in plastica a pressione(come lo chiamerei con nome poco commerciale), credo che si potrebbe pensare però ad un materiale alternativo al vetro, magari meno elegante, ma più pratico.

martedì 24 agosto 2010

Maremma che barba!(II parte)



Nella stessa sede però Luca Maroni ha affrontato anche due tematiche che mi sembrano molto importanti in prospettiva, anche se soltanto una mi trova d'accordo: ha parlato infatti della questione dei formati e della questione del grado alcolico.
Per quanto riguarda i formati concordo che al più presto sia da promuovere la diffusione di formati spesso snobbati(0,375 l) o la creazione di nuovi formati(0,500 l e 1 l) come già sperimentato, ad esempio, da Fontanafredda con la linea "Valori bollati".
I nuclei familiari e le grandi adunate si vanno assottigliando, gli appartamenti sono sempre più piccoli e se talvolta si arriva a 6 commensali, spesso a 4, ancora più spesso a 2 o si stappa da soli, la classica bordolese sarà spesso eccessiva, e talvolta scarsa con dispendio di soldi e di prodotto.
Altro discorso quello sulla tendenza a creare vini meno alcolici, così da dare spazio al famigerato "frutto", d'accordo anche su questo, ma soltano sui vini che per collocazione geografica o caratteristiche proprie presentino queste caratteristiche; al contrario Maroni suggerisce la "dealcolizzazione" un processo che diminuisce il grado alcolico e per chi, come me, vorrebbe che il vino subisse meno processi possibili, non s'ha da fare.

Maremma che barba!



Stamattina mi sono imbattuto nella trasmissione "Omnibus Life" su La7, ospiti l'enocritico Luca Maroni e Rosario Trefiletti di Assoconsumatori.

Al di là dei solti discorsi, ormai triti e ritriti, mi ha colpito soprattutto la discrepanza esistente tra i principi enunciati da entrambi gli interlocutori, promotori di una "democraticizzazione" e "divulgazione" del vino e il linguaggio utilizzato da Maroni che, nell'encomiabile intento di crearne uno nuovo, ha forgiato termini e concetti(l'onnipresente vino-frutto ad esempio) che a distanza di anni non hanno fatto breccia nel lessico nè degli esperti nè della massa e si trovano ancora relegati nei testi e negli interventi dello stesso Maroni.
Sarebbe il caso, in un processo di democraticizzazione e divulgazione, di prenderne atto e cambiare registro.

Molto spazio è stato dedicato anche alla produzione della nostra Maremma, dal momento che lo stesso Maroni è stato scelto dalla Camera di Commercio di Grosseto quale promotore/testimonial della nostra zona( e potrebbe esserlo anche in futuro, vedete qui): ne sono state lodate le Istituzioni(disinteressato...) e i prodotti ("Si può quindi dire che il Morellino è un buon vino" ha chiosato la conduttrice).

Mi ha colpito anche il continuo riferimento di Maroni alla GD, come canale privilegiato di distribuzione: se da un lato potrebbe sembrare un canale "democratico" dall'altra produce uno squilibrio di forze evidente che porta alla diminuzione del reddito per i produttori e una tendenza all'omologazione dei prodotti di cui non si sente certo il bisogno, soprattutto in Maremma.

Non me la sento di giudicare per un sacco di buoni motivi, ma credo che le nostre Istituzioni, prima di decidere chi debba rappresentarci per i prossimi tre anni(per la modica cifra di 150 mila euro), si debbano guardare bene intorno e non pubblicare un bando della durata di 20 giorni in agosto. A buon intenditor...

lunedì 23 agosto 2010

Gli amici degli amici...



Pochissimi anni fa mi è capitato di festeggiare una Laurea tardiva, la mia, presso un noto ristorante di una notissima cittadina del vino della Val d'Orcia(di cui non faccio il nome, vedasi foto).
Il locale è pieno, soprattutto di turisti, e noi, essendo una quindicina di invitati, per venire incontro alle esigenze della cucina, abbiamo deciso di optare tutti per un menù degustazione proposto dal locale, chiedendo semplicemente alcune piccole variazioni dovute alla presenza di due commensali, mio babbo e mia moglie, l'uno celiaco(o giù di lì) e l'altra intollerante al lattosio.
Con nostro grande stupore la cameriera ci riporta il parere del patron/chef: il menù è quello e guai a chi lo tocca.
Storcendo la bocca ci adeguiamo al diktat del Capo e proseguiamo la nostra cena che tra alti e medi si conclude degnamente.
Al momento del conto però accade l'inaspettato: mi reco all'interno del locale e il proprietario si accorge che sono un "indigeno". Immediato scatta uno sconto sostanzioso e lo stesso si precipita al tavolo per accertarsi dell'ottimo svolgimento del pasto presso i commensali e scusandosi per gli eventuali inconvenienti.
"Me lo doveva dire, quando ha prenotato, che eravate di qui" mi rimprovera il proprietario come a sottintendere che mi sarebbe stato riservato ben altro trattamento: proviamo a farlo ragionare che in quanto clienti dovremmo essere trattati nella medesima maniera e faccio fatica a trattenere alcuni ospiti, meno indigeni, che si sentono, a ragione, presi per i fondelli.
Mi dicono amici, ancora più indigeni di me, che non si tratti di una pecora nera, ma che anzi la pratica sia comune nel Borgo, con prezzi differenziati per residenti e ospiti sia nella ristorazione, che nella vendita e mescita di vino: a mio parere una pratica sconsiderata e poco lungimirante dettata soltanto da un'ottica speculativa deleteria.
Magari mi sbaglio.

domenica 22 agosto 2010

Bistecchiamo


Stavolta parliamo di carne, in particolare del più celebre, e celebrato, dei tagli bovini, la bistecca.
Chi volesse gustare una buona bistecca, magari cotta su una griglia arroventata, a Grosseto ha tre possibilità: può rivolgersi al macellaio di fiducia, può acquistare direttamente presso un produttore o affidarsi alla Grande Distribuzione(dove l'aggettivo grande si riferisce alle dimensioni dei punti vendita).
In particolare, questa volta, ho deciso di confrontare una bistecca nl filetto di circa 800 grammi acquistata presso l'Azienda Agricola Bellumori-Benetello di Casotto Pescatori e una, pari peso, acquistata presso il supermercato CONAD di Via Clodia, a Grosseto.
Partiamo dalla provenienza, che risulta dall'etichetta obbligatoria: nel primo caso si tratta di un vitellone di razza chianina, nato, allevato, macellato e confezionato presso la stessa Azienda(a pochi km da Grosseto), mentre nel secondo caso l'animale, di cui si ignora la razza, è nato, allevato e macellato in Francia per poi venire trasportato in Italia successivamente.
A prima vista la differenza tra le due bistecche è notevole: la bistecca di Chianina è di un rosso notevolmente più intenso, segno di una composizione più ricca innanzitutto in ferro, la grana della carne è più fine, le parti di grasso sono minimali rispetto al magro e l'osso si distingue nettamente anche ad una prima occhiata.
Dopo una breve cottura, passiamo all'assaggio: entrambe le bistecche sono promosse, anche se a favore della Chianina possiamo certamente notare una maggiore sapidità e tenerezza oltre a  una decisa adesione della carne all'osso, con notevole soddisfazione anche nella ripulitura dello stesso(mentre l'altro osso vola decisamente verso la cuccia del cane).
Dalla parte della bistecca francese, naturalmente ma non poi troppo, il prezzo che è di circa 12 euro/kg(in promozione per un periodo limitato), mentre la Chianina viene venduta a 18 euro/kg, un prezzo sicuramente ottimo se paragonato alle richieste per un prodotto similare avanzate dai macellai(dai 20 ai 25 euro/kg) e dalla stessa CONAD che vende bistecche di razza Chianina a 22 euro/kg.
I prodotti dell'Azienda Bellumori-Benetello li trovate, insieme a molti altri, presso il mercato Campagna Amica di Grosseto di cui abbiamo già parlato in un precedente post(qui).



Alla riuscita della serata ha contribuito un'ottima bottiglia di Brunello di Montalcino 2005 di Podere San Giacomo che, seppur figlio di un'annata minore e non destinata a fare storia, ha bilanciato perfettamente la succulenza delle bistecche preparando ogni volta il palato al successivo boccone, praticamente tutto ciò che si chiede ad un vino quando si è a tavola.

venerdì 20 agosto 2010

Le parole del vino



In questi giorni sto leggendo "Le vie del vino" di Johnathan Nossiter, l'autore del chiacchieratissimo documentario "Mondovino".

Sorvolando sulla piacevolezza della scrittura e sull'impalpabilità dei riferimenti enologici presenti nel libro, dovuti in gran parte alla mia quasi assoluta inesperienza in materia di vini francesi, debbo sottolineare il richiamo alla riscoperta di un approccio anarchico nella produzione, nella commercializzazione e nella critica del vino.
L'approccio, ai più distratti, potrà apparire innovativo, mentre chi avesse incrociato, anche solo per scritto, il pensiero di Luigi Veronelli avrà l'impressione di aver già sentito queste parole diversi anni fa, in tempi veramente non sospetti.
Appare chiaro che al momento le voci fuori dal coro siano ridotte a poche unità sulla scia di quello che accade nel giornalismo, nella politica, nell'economia e che ci si barcameni tra il conformismo, il qualunquismo e il bastiancontrarismo alla Grillo, che altro non è che l'altra faccia della stessa medaglia.
Lo schema di analisi di un vino (così come quello di produzione) è spesso il medesimo per la maggior parte dei critici (e dei produttori), il linguaggio è lo stesso e l'omologazione è il criterio dominante.

Di voci indipendenti in giro non se ne vedono, se ci sono preferiscono tacere.

mercoledì 18 agosto 2010

La Saga delle sagre



Chi arrivi in Maremma nei mesi estivi non potrà fare a meno di notare la grande proliferazione di Sagre che si organizzano ovunque.
Malviste dai ristoratori, che le considerano una forma di concorrenza sleale, godono del favore di chi è alla ricerca di informalità e prezzi modici.
Sull'informalità nessun dubbio: stoviglie di plastica(spesso), file alla cassa, e servizio spicciativo sono insiti nella tipologia di evento, insieme alle zanzare che talvolta le popolano. Anche sui prezzi modici pochi dubbi, anche se, rapportandoli alla qualità dell'offerta, a volte tanto modici non sono.

La mia idea è che esistano sagre e sagre.
Ci sono quelle che promuovono un piatto tipico, un'identità, sono originali e possiedono un anima.
Di contro noto sempre più sagre anonime, interminabili, generaliste, create con lo scopo di far cassa, sfruttando il volontariato,
Contro questo tipo di manifestazioni mi trovo al fianco dei ristoratori, la concorrenza sleale è evidente e non contribuisce a creare un solo posto di lavoro, nè a promuovere un prodotto del territorio, nè a mantenere viva una tradizione.

Credo che a questo proposito sarebbe opportuno un intervento da parte delle Istituzioni, la Provincia ad esempio, che entrino nel merito delle varie sagre, valutandone motivazioni e opportunità, moderandone il numero e la durata.

Sarebbe un ottima via per tutelare i nostri ristoratori e soprattutto le nostre orecchie, visto che con il proliferare delle sagre aumenta la richiesta di gruppi musicali e cresce esponenzialmente il numero delle "capre"(perdoneranno il termine) che si improvvisano musicisti e cantanti.

martedì 17 agosto 2010

Sessanta


Stanco di code e gavettoni, da qualche anno, a Ferragosto, mi rifugio alle pendici dell'Amiata, dove la terra offre adesso i frutti migliori, i funghi, e gli artisti della cucina trasformano la materia prima in cibi mai opulenti, ma sempre gustosi.

La meta di quest'anno è stata il Ristorante Caffè "60", alle porte di Seggiano(GR).
L'ambiente è molto familiare con Stefania che gestisce la cucina e uno stuolo di giovanissimi che si occupa della sala e del bel dehors dall'altra parte della strada(chiedete, se possibile, il tavolo sotto il tiglio).
La cucina è fortemente legata ai prodotti della zona ed anche in una giornata di affollamento con presta il fianco a critiche: il pane fritto, come appetizer, rischia di diventare piatto unico, tanto è buono, e il tagliere di salumi e formaggi è eccellente, pur nella sua estrema semplicità. Molto buoni anche i classici tortelli maremmani conditi con il pomodoro, superati in bontà e originalità dai tortelloni ripieni di sola ricotta e conditi con un ottimo olio di olivastra seggianese, vanto dell'agricoltura locale.
Come secondo abbiamo assaggiato una gustosissima lombatina di maiale ai funghi porcini: i proprietari, gli stessi della tenuta "Le Casacce" nelle campagne seggianesi, utilizzano suini di razza "macchiaiolo maremmano" allevati in zona, così come autoctoni sono i carnosi porcini.
A conclusione, nonostante avessimo annunciato bandiera bianca, ci siamo fatti tentare, come spesso accade, dai dolci casalinghi: ottime "la sbriciolona", crostata con crema, cioccolata e amaretti e la crostata di pesche.
La cantina è limitata ad alcune buone bottiglie dei territori limitrofi, Montecucco e Montalcino, ma non è certo la carta vincente del locale.
Prezzo nella media(35 euro per un pasto di 4 portate, vino escluso), ma sicuramente corretto e all'altezza della qualità della cucina.
Qualche dubbio sul servizio a cui perdoniamo la giovinezza, ma non un po' di presunzione(ordinazioni prese a memoria e non ricordate) e qualche dimenticanza di troppo dovuta all'inesperienza.

Sicuramente torneremo in una giornata più tranquilla.

lunedì 16 agosto 2010

Serate Castiglionesi



Sei in fila, ordinatamente.

Per un pezzo di pizza, una coppa di gelato, un bancomat, un posteggio.

E la chiami vacanza.

venerdì 13 agosto 2010

Le strade del vino



Girovagando per i blog, ma anche frequentando corsi e degustazioni, sento spesso dissertare sulle diverse fasi del percorso che più ci interessa, quello dalla vigna al bicchiere.

In particolare ci si sofferma, giustamente, sulle varie fasi della produzione sia in vigna che in cantina, mentre molti appassionati curano, spesso in maniera maniacale, anche la conservazione delle loro bottiglie, scegliendo adeguatamente locali, temperatura, esposizione, collocazione, presenza di vibrazioni etc etc etc.
Così facendo si trascura però, a mio parere, una fase intermedia molto importante che è quella del trasporto, ovvero di come la bottiglia arriva dalla cantina del produttore alla nostra.

La mia impressione è che in questa fase si perda spesso l'attenzione per le peculiarità di questo prodotto: corrieri generici e centri di smistamento della GDO, ma anche magazzini di distributori con stoccate migliaia di cartoni non porranno sicuramente l'attenzione dell'appassionato alle temperature, all'umidità del tappo, alle vibrazioni, agli urti, vanificando alla fonte il certosino lavoro successivo sia dei rivenditori più attenti che dei consumatori più appassionati.

E allora come possiamo salvarci da questa evidente contraddizione? Dobbiamo acquistare esclusivamente in Cantina sperando che almeno lì trattino il vino "come le 'ose sante" e poi trasferirlo con cura presso la nostra abitazione? Oppure le ripercussioni di queste imperizie saranno assorbite dal tempo e possiamo non curarcene?

giovedì 12 agosto 2010

Un'ottima annata?


Squilli di tromba, rulli di tamburi è in arrivo la nuova annata 2010!!!
Oddio in arrivo, diciamo che una piccola parte dell'uva presente in vigna è da vendemmiare, mentre la gran parte resterà sulle piante ancora per diverse settimane, ma da più parti già si tracciano bilanci preventivi e pazienza se dopodomani grandinerà(i produttori possono fare gli scongiuri).

Le previsioni innanzitutto parlano di un'annata abbondante con il tanto atteso sorpasso ai concorrenti francesi in termini di hl prodotti.
Un successo? Non proprio.
Perchè se è vero che produciamo di più è anche vero che vendiamo di meno e che spesso per vendere quel di meno abbassiamo, anche sensibilmente, il prezzo.
Carlo Petrini così, stamani su Repubblica, parla di Barolo sfuso a 2 euro e mezzo, di Barbaresco a un euro.
Non mi sembra che ci sia molto da gioire.

In questa situazione, quali prospettive per la nostra Maremma, terra di grandi promesse e di piccole certezze?

Un grande potenziale, senza dubbio, che però dovrà sbrigarsi a diventare realtà, per evitare di rimanere schiacciato dalla contrazione dei consumi(figlia della crisi, dell'alcooltest o di quel che volete voi).
La freschezza è il tratto più caratteristico della nostra realtà, freschezza che significa entusiasmo ed elasticità per affrontare le sfide del mercato, ma che allo stesso tempo si porta dietro qualche deficit di esperienza e delle strutture organizzative/finanziarie talvolta lacunose.

Se a qualcuno non fosse ben chiaro, non credo che ci sarà posto per l'improvvisazione.

mercoledì 11 agosto 2010

Montecucco Antica Miniera 2008 Podernuovo


Mi capita, esclusivamente in estate, di arrivare a casa e di scoprire un frigo desolatamente vuoto, popolato qua e là da salse al presunto tartufo avviate da mesi, maionese, limoni e yogurt. Nulla più.

Così ieri sera, di ritorno da un evento sportivo di alto livello, mi sono avventurato nell'improvvisazione di un pasto quasi notturno davvero succulento: pane e vino.

Più che di un pasto, si tratta del paradigma della semplicità gastronomica, di uno di quegli abbinamenti che, se ben riusciti, sublimano il palato con una spesa irrisoria.

E così mi sono armato di pagnotta bassa di ignoti natali(acquistata a Follonica), di una bottiglia di Montecucco Antica Miniera 2008 di Podernuovo e ho cercato di sfidare la fame ad armi pari.

Sull'esito della disfida non saprei dire, ma molto vi posso dire di questo Montecucco composto prevalentemente da Sangiovese(70%) con aggiunte paritarie di Cabernet Sauvignon, Ciliegiolo e Montepulciano, prodotto nella zona di Cinigiano ad un'altitudine di circa 300 m.
I vigneti dell'azienda sorgono nei dintorni e sui resti di una antica miniera(da cui il nome) di carbone e lignite: la ricchezza di minerali che deriva da questa collocazione fornisce il carattere a questo vino che per esplicita volontà del produttore vuol essere semplice.

Nella sua semplicità riesce però a far centro grazie ad un ottimo equilibrio ed un'apprezzabile bevibilità: il rubino luminoso del bicchiere tente a scemare sul bordo, mentre il Sangiovese la fa da padrone all'olfatto, con frutti rossi e scuri in evidenza e una nota sottile di viola. All'assaggio il vino è coerente, con ancora il frutto a farla da padrone e un tannino mai invasivo.

Se già convince con del semplice pane, non vi sarà difficile individuare un abbinamento adatto.

Reperibilità discreta, almeno in zona, prezzo molto concorrenziale con la possibilità di poter acquistare il formato da 5 litri, inusuale per un vino di questo livello.

Questione di forma

Ho sentito diversi amici lamentarsi in merito alla reperibilità, nella nostra zona, del Parmigiano Reggiano di qualità, aldilà dei soliti noti che affollano i banconi dei supermercati. Altri ancora non riescono a trovare il prodotto nei suoi diversi gradi di stagionatura, fattore che ne influenza assai le caratteristiche e l'impiego. Altri ancora, i più fortunati, si lamentano soltanto dei prezzi alti che questo prodotto raggiunge, spesso oltre i 20 Euro al Kg.
Ad aiutare questi amici curiosi e golosi ci pensa ancora una volta Internet, con una serie di Caseifici produttori di Parmigiano Reggiano che lo commercializzano direttamente e quasi sempre a prezzi modici.
Per i più curiosi la lista completa dei produttori che vendono online si trova sul sito del Consorzio di Produzione mentre per gli altri vi posso segnalare due produttori da cui mi rifornisco regolarmente: il primo è il Caseificio La Madonnina che dispone di Parmigano Reggiano di ottima qualità in tre diverse stagionature(12/24/36 mesi), dispone di possibilità infinite di confezionamento(a partire da 500 g) senza aggravio di costo(si parte dai 9,50 Euro al kg del 12 mesi per arrivare ai 13 Euro al Kg del 36 mesi).
Ancora più ampia la gamma del Caseificio San Salvatore che presenta 5 diverse stagionature(12/24/30/36/42/48 mesi) con prezzi che oscillano dagli 11 Euro/kg del 12 mesi ai 14 Euro/kg del 48 mesi.
Questo caseificio spedisce esclusivamente confezioni da un kg ed è consigliato in particolare a chi voglia provare le versioni più stagionate, difficilmente reperibili altrimenti.
In entrambi i casi la merce arriva a casa tramite corriere espresso confezionata sottovuoto, in modo da potersi conservare per 3/4 mesi senza perdere le proprie caratteristiche, anche se per esperienza vi segnalo che le temperature elevate accellerano il deperimento del prodotto e quindi vi consiglio di acquistarne quantità più ridotte in estate.
Ultimo ostacolo le spese di spedizione che sono piuttosto contenute, sotto i 10 euro, e che rendono il prodotto vantaggioso anche in piccole quantità(bastano 4/5 kg che vi assicuro avranno vita breve nella dispensa).
Ultima raccomandazione per i soggetti intolleranti al lattosio e i neonati che si avvicinano alle prime pappe: in entrambi i casi il Parmigiano Reggiano è un alimento consigliatissimo purchè abbia una stagionatura di almeno 36 mesi, stagionatura difficilmente reperibile attraverso i normali canali.

martedì 10 agosto 2010

Nasoni

Niente paura, non parlerò di difetti fisici o di chirurghi estetici, niente Cyrano nè presunte doti nascoste(“chi ben nappa ben tappa” si diceva dalle mie parti).

Nasone è infatti il nome che i romani danno da sempre alle fontanelle da cui sgorga quell’acqua buona e fresca che, non in tutti i quartieri, è uno dei mille vanti della Capitale.

“E a Grosseto come li chiamate?” potrebbe chiedere il forestiero curioso. Pensa che ti ripensa potremmo essere tentati di confessare che a Grosseto semplicemente non li chiamiamo, perchè non ce ne sono più…

Dite di averne vista una l’altro giorno? Bravi, ottimo spirito d’osservazione, ma tenetevi stretta l’informazione perchè l’efficacissima macchina burocratica potrebbe in breve tempo raggiungerla e annientarla.

D’altra parte perchè fornire al cittadino(sempre più contribuente) questo servizio minimale? E perchè dare la possibilità ai nostri bambini di ristorarsi negli intervalli delle loro scorribande, quando possono comodamente recarsi al bar più vicino per acquistarne mezzo litro, imbottigliata nella plastica a centinaia di km di distanza, al modico prezzo di un euro.

Ma d’altra parte cosa vogliono sti bambini? La prossima volta che se ne stiano a casa a giocare con la Play come tutti gli altri.

P.S. Se mi aiutate possiamo provare a mappare le fontanelle pubbliche di Grosseto, magari potremmo adottarle e salvarle, aspetto segnalazioni e foto.

Acqua azzurra, acqua cara


Esiste un ristorante, nella nostra Maremma, dove il cameriere si avvicina al tuo tavolo ed inizia a parlarti in tedesco. Poi accortosi della tua espressione interlocutoria tira fuori il suo miglior accento napoletano “Ah ma allora siete stranieri?”.


Può capitare di sentirsi stranieri a pochi chilometri da Gavorrano, stranieri magari, ma fortunati, visto lo splendore da cui siamo circondati: campi da golf intervallati da macchia mediterranea a perdita d’occhio, da un lato il mare e dall’altro le colline fitte di vegetazione.

Ieri sera sono tornato, dopo un paio d’anni, al “Golf Hotel Il Pelagone” di Gavorrano, un lussuoso Resort incastonato in un paesaggio splendido, per mettere alla prova Fausto, lo chef che nel 2008 aveva organizzato uno splendido banchetto nuziale, il mio per l’appunto.

Non ho trovato Fausto, credo che abbia traslocato altrove, ma abbiamo potuto assaggiare comunque un’ottima cucina, in un’atmosfera elegante e persino romantica.

Non ci potevamo certo aspettare un menù enciclopedico, visto che si tratta pur sempre del ristorante di un hotel ed in più in altissima stagione. Per gli ospiti dell’hotel la cena è a buffet, mentre noi preferiamo scegliere dalla carta un classicissimo, fin troppo, antipasto di mare con insalata di mare e carpacci(ahimè si ostinano tutti a chiamarli così, anche se non lo sono). La materia prima è ottima e la porzione persino abbondante

Successivamente ci affidiamo alla griglia amministrata da un giovane cuoco con un elegantissima divisa scura e cappellone di ordinanza: l’orata è cotta alla perfezione, la carne è tenera e succosa, non possiamo che dirci soddisfatti.

Si prospetta un successone…e invece non proprio, perchè le dolenti note sono particolarmente dolenti e toccano un argomento a me molto caro: il bere.

Iniziamo dal litro di Acqua Panna a 3,50 euro che francamente ci sembra proprio troppo. La tendenza a “salare” questa parte irrinunciabile del menù è piuttosto diffusa e piuttosto antipatica anche se in questo caso viene addolcita in parte dall’assenza della voce coperto nel conto finale.

La lista dei vini è strettamente legata al territorio, solo toscani, è ben suddivisa utilizzando il criterio della strada del vino di appartenenza(evidentemente un criterio più conosciuto delle denominazioni in Austria e Germania): il numero di etichette è certamente sufficiente, ma piuttosto contestabile mi appare subito la scelta delle stesse e, come prevedibile, il ricarico applicato.

Vi faccio solo un paio di esempi di vini di Castello Banfi, prodotti reperibilissimi, così che vi possiate fare un’idea: 21 euro per una bottiglia di “Le Rime” o di “Fumaio” sono francamente un’esagerazione, nell’ordine del 500-600% di ricarico e non mi meraviglio certamente se nei tavoli vicini si continua a trangugiare birra.

Noi abbiamo bevuto una bottiglia di “Serrabacio” di Serraiola(Monterotondo Marittimo), un blend di Marsanne e Roussanne fermentato in barrique, vitigni piuttosto inusuali in Italia che danno vita ad un prodotto molto bevibile con una spiccata sapidità: non fatemi sapere quanto costa, vi dico solo che io l’ho pagato 28 euro.

La via della seta


Se l’intenzione era quella di produrre seta, come dichiarato dai proprietari di Ampeleia, 50 ettari dislocati in diversi territori intorno a Roccatederighi, lo scopo sembra davvero raggiunto oltre ogni ragionevole dubbio.


Prendete l’annata recente più calda che vi ricordiate(bravi il 2003, l’estate infiammata), poi prendete il vitigno internazionale più ostico che vi sovviene(Cabernet Franc), metteteci il vitigno toscano più ostico(Sangiovese) e una spruzzata di Merlot(10% cito a memoria). La seta, carissimi, sarà l’ultima cosa che vi aspetterete di assaggiare.

E invece la seta c’è, frutto di non si sa quale alchimia della natura, sicuramente aiutata dall’altitudine degli impianti, dall’utilizzo dei legni, da quel goccio di Merlot, ma c’è.

Vi meraviglierà il rubino compatto del bicchiere e vi meraviglierà soprattutto l’assoluta secondarietà degli aromi vegetali, tipici del Cabernet Franc. Troverete invece frutti scuri in abbondanza, note terrose di sottobosco(meraviglie del Sangiovese), mentre in bocca apprezzerete la piacevolezza del sorso e l’eleganza del tannino: mettetelo in tavola e lo vedrete scomparire.

Sicuramente un vino poco “estivo”, ma se anche a voi piace sperimentare, basterà un piccolo passaggio in frigo.

L’annata non è quella in commercio attualmente, ma trattandosi dell’ultima edizione con questo schema(dal 2004 si sono aggiunti altri 5 vitigni in sostituzione del Merlot, ma ne parleremo quando stapperò il 2004), credo che valga la pena di acquistarne qualche bottiglia(non vi sarà impossibile reperirla) anche per seguirne un’eventuale ulteriore evoluzione.

E' il mercato baby

Mi capita di frequentare spesso Livorno e non sono poche le differenze che noto quotidianamente tra l’organizzazione del commercio enogastronomico labronico e quello della nostra città, differenze che forniscono, a mio parere, ottimi spunti a chi volesse creare in questo momento un’attività a Grosseto.


Da un punto vista “istituzionale” si nota lo spazio, diametralmente diverso, che viene concesso al concetto di mercato quotidiano: mentre a Livorno il mercato(sia coperto che all’aperto) fa da contraltare più che degno alla grande distribuzione a Grosseto non esiste un mercato quotidiano all’aperto, mentre il mercato coperto vede sempre più spesso aumentare il numero dei banchi desolatamente vuoti.

Nella concezione labronica il mercato è sì luogo di commercio, ma è anche luogo di incontro, occasione di convivialità: nella zona del mercato si concentrano infatti un gran numero di negozi enogastronomici di ottimo livello(pane, formaggi; salumi; gastronomia), ma soprattutto si collocano rivenditori di cibo da strada che accompagnano alla perfezione le mattinate al mercato.Per la colazione si potrà approfittare delle specialità dell’ Antica Friggitoria con frati e bomboloni fritti sul momento, di una leggerezza inaspettata, mentre all’ora di pranzo ci si potrà sbizzarrire con il Cinque e Cinque di Gagarin(schiaccia con la torta di ceci in mezzo) accompagnato dalla classica spuma o il mitico panino della Barrocciaia(con infinite varianti, vi consiglio comunque salsa verde, arrosto, melanzane, pomodori, cipolla e strappalenzoli).

Naturalmente quella di Livorno è una realtà sociale molto popolare, fatta di riti antichi che ormai non sembrano trovare più spazio all’interno della maggior parte delle altre città: il divario però tra le due realtà sembra non essere giustificato dal diverso, ma non troppo, substrato sociale e chi sembra rimetterci, in questo percorso di omologazione imperante, è il gusto e lo spirito della nostra città.

Campagna amica...e vicina di casa

Sempre più spesso, facendo la spesa, si avverte la distanza che ci separa dal prodotto che mettiamo nel carrello: contrariamente a quello che succedeva qualche decennio fa, non sappiamo chi ha confezionato le uova che acquistiamo, non sappiamo con quale latte siano prodotte le nostre mozzarelle(bianche o blu che siano) o dove sia nato il suino che ha dato origine al salame che affettiamo.

Abbiamo questa sensazione a causa della distanza infinita che ci separa dagli alimenti, dal numero di passaggi che i prodotti soffrono, dalle migliaia di chilometri che gli stessi percorrono per arrivare sulle nostre tavole, a discapito dell’ambiente e del nostro portafoglio. Migliaia di contadini vengono affamati perché possiamo acquistare verdure anonime e frutta fuori stagione a prezzi convenienti, convenienti soprattutto per chi, senza sporcarsi mai le mani di terra, guadagna milioni spostando merci.

Se anche voi vorreste vedere in faccia chi prepara il ravaggiolo che divorate o parlare con chi sala il vostro prosciutto, se anche voi vorreste avere un ortolano di fiducia o farvi consigliare dal produttore in quale olio intingere la bruschetta, da oggi potete: ogni martedì e ogni sabato, dalle 8 alle 13, in Via Roccastrada e ogni giovedì, stesso orario, nel piazzale della Chiesa del Cottolengo, a Grosseto, si tiene il mercato “Campagna Amica” organizzato dalla Coldiretti, in cui agricoltori e allevatori vendono direttamente e orgogliosamente la propria produzione. Potrete trovare carni e salumi, formaggi di pecora e di mucca, olio e vino, frutta e verdura a prezzi equi e con la possibilità, impagabile, di poter tornare la settimana successiva a dimostrare il vostro apprezzamento o le vostre critiche direttamente al produttore che sarà felice di ascoltarvi.

Prossimamente parleremo nel dettaglio dei vari produttori, ma intanto date retta a un bischero, fate una visita, magari al mattino presto, meglio ancora lasciando l’auto in garage: farete un favore all’aria che respirate e il vostro palato vi ringrazierà infinitamente.

Senza fiamma


Quanti modi conoscete per cuocere la pasta? Parlo di tortiglioni e rigatoni, di fusilli e spaghetti, di alimenti quotidiani il cui metodo di cottura è talmente consolidato nella cultura popolare, da essere considerato un dogma. Un litro di acqua per ogni etto di pasta, un tot di sale(sforzatevi di trovare la vostra giusta misura a occhio, il cucchiaino è una misura fredda e sterile) e quando si arriva ad un bollore irruento(mandate in vacanza l’ansia per una volta) il giusto tempo di cottura secondo il formato e il gusto personale.


Il risultato lo conosciamo tutti, il piatto italiano per eccellenza, il protagonista di tavolate sontuose o di veloci spaghettate. Un trionfo.

E se vi dicessi che esiste un’alternativa a quanto appena esposto, che esiste un metodo almeno altrettanto buono per cuocere alla perfezione le vostre penne preferite(un giorno vi parlerò delle mie), un metodo che vi fa anche risparmiare? Non ci crederete, ma questo metodo esiste davvero, ho avuto modo di sperimentarlo grazie alle indicazioni dell’ottimo Luciano Mallozzi, anche se l’idea è riconducibile al Cav. Agnesi(quello dell’omonima pasta naturalmente) ed è di facilissima esecuzione.

Occorrono soltanto un paio di asciughini(o posatini che dir si voglia): mettete sul fuoco le normali proporzioni di acqua e sale(magari utilizzando il coperchio per risparmiare tempo e gas) e quando l’acqua bolle, buttate la pasta mantenendo il fuoco vivo per due minuti. Spegnete quindi il fuoco, mettete il coperchio e poggiate sullo stesso gli asciughini, per limitare la dispersione di calore. Lasciate riposare per il tempo di cottura indicato sulla confezione e scolate. Avrete una pasta perfettamente cotta e l’acqua di cottura, contrariamente a quello che succede con il metodo tradizionale, sarà limpida, segno che le sostanze nutritive sono rimaste nella pasta e non si sono disperse nell’acqua.

Provate e fatemi sapere, buon appetito.

lunedì 2 agosto 2010

Prezzi pazzi!

Negli ultimi mesi ho avuto modo di conoscere, inizialmente grazie alla manifestazione Maremma Wine Shire di maggio, un'importante azienda vitivinicola maremmana e di apprezzarne la produzione, molto originale e piacevole.

Ho avuto l'occasione di acquistare diverse annate del vino di punta dell'Azienda ed ho notato la sensibile differenza di prezzo presente sul mercato: se l'ultima annata commercializzata viene venduta, in Italia, a 20/25 euro, le annate immediatamente precedenti sono disponibili, con una piccola ricerca, a 6/7 euro.

Non mi soffermo sul nome dell'Azienda perchè non varierebbe la sostanza del mio discorso e perchè mi sembra che la tendenza sia piuttosto diffusa, tanto che da più parti si fa largo l'idea di creare gli Outlet del Vino sull'esempio di quello che avviene nel mondo della Moda.

Ha senso tutto ciò? Soprattutto ha senso che in saldo vadano vini con elevati potenziali di invecchiamento e non vini da consumare giovani? O forse, causa crisi economica e saturazione del mercato, moltissime cantine, anche blasonate, si ritrovano a corto di liquidità, e svendono i loro magazzini?

domenica 1 agosto 2010

Vermentino Stellato 2008 Pala


Capita anche ai migliori di sbagliare un abbinamento, figurarsi se non poteva accadere a me. Serata tranquillissima a casa con Ila e Simone, cavie inconsapevoli, tipica cena estiva(pasta fredda pesto, pomodorini e pinoli; prosciutto e melone, mozzarella, salame e olive) arrivo a casa di corsa, come sempre dal lunedì al venerdì: in frigo nulla sembra veramente adatto e così azzardo un vermentino, lo Stellato 2008 di Pala.

Il paglierino è assai luminoso, quasi scintillante, il naso fornisce un ottimo ventaglio di sensazioni: spicca la salvia, la segue una frutta tropicale non troppo matura(ananas) e su tutto una netta mineralità. In bocca si trova soprattutto la nota agrumata(pompelmo), ma quello che connota profondamente questo assaggio è la sapidità.

E cosa c'entrano il pesto o il prosciutto, il salame e le olive?

Bella domanda e sono d'accordo con voi che non si tratti proprio di un abbinamento indovinato. Onore al vino quindi, se la bottiglia finisce lo stesso per vuotarsi e se più di un commensale commenta positivamente il prodotto.

Onore ai Pala che producono questo vermentino in buona quantità, lo confezionano con ottimo gusto(bottiglia abbigliata elegantemente, addirittura avvolta in un foglio scintillante) e lo vendono a prezzi molto onesti(facilmente reperibile intorno agli 11 euro, ma con possibilità di spuntare un prezzo sensibilmente inferiore).

Per la prossima volta potremo seguire il consiglio della guida Duemilavini (cous cous con i ceci) o virare su dei classici crostacei, restando comunque alla larga da cibi troppo saporiti.