martedì 26 aprile 2011
Tanto è bello?
Quando si affrontano i pilastri della nostra cucina tradizionale è necessario distinguere tra la cucina quotidiana, fondamentale, e quella “del dì di festa”, altrettanto importante.
Fino a pochi decenni fa, infatti, le abitudini alimentari delle nostre famiglie variavano, e di molto, in base al giorno della settimana: esisteva una cucina di tutti i giorni, basata sui carboidrati semplici(pasta, pane), l’olio d’oliva e le verdure, spesso frutto di autoproduzione, mentre i piatti a base di carne erano riservati solitamente alla domenica. Nelle feste comandate, inoltre, cresceva la varietà delle preparazioni e con essa la quantità di cibo preparato.
Questo schema, negli anni, si è modificato, sulla scia di quella idea di pseudo progresso che inizia adesso a vacillare: la carne, spesso di pessima qualità, ha invaso le nostre tavole quotidiane, i dolciumi sono diventati sempre disponibili e vengono spesso utilizzati a mò di effimeri antidepressivi, mentre le verdure sono diventate un inciampo da scavalcare, visto che occorre tempo per prepararle, mentre quelle crude spesso sanno troppo…di verdure.
Se la deriva quantitavivistica dell’alimentazione è quotidianamente evidente, l’arrivo delle feste comandate la rende macroscopica, ai limiti del grottesco: in questi giorni si sono ovunque celebrate orge alimentari protrattesi per ore e spesso conclusesi con disturbi gastrointestinali di varia entità e pesantezza di stomaco persistente.
Si sono salvati da questa ecatombe, solitamente, solo i padroni di casa che, intenti ad apparecchiare, sporzionare, sparecchiare, lavare ed esortare, hanno omesso di sedersi e/o di mangiare, trovandosi costretti a chiedere pareri ai commensali sulla qualità del cibo, non tanto per ottenere elogi, quanto per non aver avuto il modo di assaggiarlo.
Ma tutto questo ha senso nel 2011?
Nell’attualità solo una piccola frazione delle famiglie italiane ha una situazione finanziaria tale da ostacolarne un’alimentazione varia e soddisfacente e, certamente, non saranno quelle le famiglie che a Natale e a Pasqua allestiranno banchetti luculliani.
E allora perché? Che senso ha celebrare ancora la catarsi della fame quotidiana, quando questa non esista più?
Mi sembrerebbe molto più logico, consapevole e persino piacevole, celebrare queste occasioni puntando sulla qualità di ciò che si mette in tavola, piuttosto che sulla quantità, cercando magari di riscoprire antiche ricette o elaborarne di nuove e selezionando scrupolosamente le materie prime, un impegno forse non inferiore, ma certamente più soddisfacente per il palato e lo stomaco dei commensali.
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